Il dipinto è una veduta panoramica incentrata sui soggetti della Torre e della chiesa dei SS. Ippolito e Cassiano a Velate (Varese)

Misura con cornice: 45x54 cm

Fronte: firma e data in basso a sinistra "A. Bardelli, '42"
Retro: dicitura autografa "La Torre di Velate. A. Bardelli"

Aldo Bardelli (Azzate 1904 - Varese 1960)

Aldo Bardelli, frequentate le scuole tecniche a Varese, si avvia alla pittura sotto la guida di Giuseppe Talamoni, noto pittore varesino. Di tale periodo l’artista non ha lasciato alcuna notizia circa la propria attività, né alcuna opera che orienti sulla sua pittura. Unico dato certo è che Bardelli nel 1929 parte per Parigi, senza dubbio per rispondere al richiamo della Ville Lumière e verificare in loco la situazione artistica, ma forse anche spinto dalla sua avversione al fascismo (era socialista) e con l’idea di restare per sempre in Francia dove alcuni parenti lo avevano già preceduto. Sicuro è che vi rimase tre anni divisi tra Parigi, Les Sables-d’Olonne e la Normandia, trascorsi i quali nel 1933, gravemente e irrimediabilmente ammalato è costretto a rientrare in patria. Scarne le notizie trapelate dal periodo parigino. Visse appartato in solitudine, preferì alla frequentazione dei caffè artistici di Montmartre e di Montparnasse le visite ai musei e alle gallerie pubbliche e private. Dal soggiorno non riportò alcuna testimonianza dei suo lavoro. Nessuna notizia neppure dalla Normandia e da Les Sables-d’Oionne. In compenso, però, da questa località ha riportato alcune opere, due delle quali sono pervenute agli eredi e sono presenti in questa mostra. Costituiscono in assoluto la prima testimonianza dell’attività pittorica dell’artista e presentano una immagine inaspettata, sorprendente sia della sia maturità tecnica sia del preciso orientamento estetico assunto a Parigi. Nel frattempo la famiglia si era trasferita a Varese, in quanto il padre era passato alle dipendenze di altri proprietari terrieri, i Crevan e i Grassi, e una delle sorelle in città aveva avviato una attività di sartoria. Dopo lunghe cure, benché con i postumi destinati a riaggravarsi nel tempo, Bardelli riprende la propria attività ma la sua vita si svolge appartata e schiva nell’ambito famigliare, alimentata da un ristretto giro di amicizie e di frequentazioni intellettuali, tanto solide e fedeli quanto spesso avvolte da riserbo e timidezza. Alla pittura affianca l’attività di insegnante di disegno nelle scuole tecniche ma la mancanza di un titolo di abilitazione e, soprattutto, la nomea di antifascista, rendono l’incarico precario, così che l’artista, certo dopo averne parlato con un amico socialista, il dott. Antonio Ghiringhelli (che sarà nominato soprintendente della Scala, chiamato all’incarico da un altro varesino illustre, di Angera, l’avv. Antonio Greppi, primo sindaco socialista della Milano liberata), decide di prendere un diploma di scenografia in modo da avere un titolo di abilitazione all’insegnamento e, nello stesso tempo, un’altra possibilità di lavoro. Nell’anno scolare 1937-1938, entra all’Accademia di Brera e segue il primo corso di scenografia sotto la guida di Pietro Reina e alla sessione estiva è promosso con 9 in scenografia e 7 ½ in storia dell’arte, che lo esonera dal pagamento delle tasse scolastiche per l’anno successivo. Nel 1938-1939 segue il secondo corso e nella sessione estiva viene promosso al terzo con 9 in scenografia e 8 in storia dell’arte. Nella sessione autunnale sostiene gli esami per l’ammissione al quarto corso ed è promosso con 8 in scenografia e 8 in storia dell’arte. La votazione gli dà diritto all’esonero dalle tasse di frequenza anche per il corso successivo. Nel 1939-1940 segue il quarto corso e alla sessione estiva ottiene la licenza con i seguenti voti: scenografia 9, più un premio di Lire 250; storia dell’arte 8, più un premio (Mazzucchelli) di Lire 500. Il maturo studente, dunque, non mira solo a procurarsi un diploma ma palesa grande impegno e applicazione rivelando di essersi ripreso dallo sconforto causato dalla malattia che ha interrotto bruscamente un ciclo positivo della sua esistenza, di puntare molto sulla acquisita esperienza scenografica. Purtroppo la sua discrezione, il suo vivere appartato e solitario non gli hanno aperto la carriera di scenografo; il diploma gli e comunque servito a rendere più stabile quella dell’insegnamento (che gli fu revocato solo nel tardo 1943 dall‘avvento della Repubblica di Salò, in quanto sospettato di antifascismo) ma, soprattutto, a dare nuove sollecitazioni e sbocchi alla sua pittura.
Dopo il 25 aprile 1945, con la Liberazione, tronca definitivamente i pochi contatti con Milano e, fino ai primi anni cinquanta, partecipa, sia pure dalla posizione defilata che gli è congeniale, alla ripresa della vita culturale varesina, animata da figure come Piero Chiara, Luigi Ambrosoli, Guido Morselli, Dante Isella, Giuseppe Bortoluzzi, Renzo Modesti, l’avv. Aldo Lozito e il prof. Bulferetti, grande dantista. Sono anche gli anni in cui più intensi e frequenti sono i rapporti con l’ambiente degli artisti locali della sua generazione: da Tavernari a Montanari, da Salvini a De Bernardi, da Angelo Frattini a Ada Schalk, da Talamoni a Spaventa Filippi, da Costantini a Ferriani, da Vedani a Bozzolo, da Ravasi a Colombo. Le mostre promosse dal Circolo degli artisti di Varese, animato dall’avv. Lozito, dall’Azienda Autonoma di Soggiorno e dalla Galleria Prevosti e dalla breve attività della Galleria Varese, sede di sfollamento della bombardata Galleria Annunciata di Milano (ottobre 1943 fine 1946; in cui fra l’altro tenne una personale a fine marzo dei 1946), costituiscono pero le poche occasione che Bardelli, uomo riservato e schivo, poco incline a far proprie le logiche di promozione e di autopromozione del mercato dell’arte, ha di proporsi al pubblico, per altro attento e in crescita, di quegli anni. Sicché, nonostante gli apprezzamenti rivoltigli da alcuni artisti plurilaureati, tra cui Morlotti e Guttuso, i suoi principali acquirenti ed estimatori sono e restano i suoi migliori amici: gli avvocati Gallini e Campiotti, il dottor Aschieri, i critici Zanzi e Gallina, il maestro Pandolfi, i professori Fadda e Ramella, gli architetti Vanoni e Brusa Pasqué, le sorelle Martinenghi. Con gli anni cinquanta il progredire dei morbo di Parkinson rallentava via via l’attività pittorica di Bardelli, ne riduce la presenza nella vita culturale cittadina e contribuisce ad aumentarne l’isolamento. Con la fine dei 1959 si affacciano i primi sintomi dei tumore intestinale che lo conduce a morte nell’estate del 1960.


Il dipinto è una veduta panoramica incentrata sui soggetti della Torre e della chiesa dei SS. Ippolito e Cassiano a Velate (Varese)

Misura con cornice: 45x54 cm

Fronte: firma e data in basso a sinistra "A. Bardelli, '42"
Retro: dicitura autografa "La Torre di Velate. A. Bardelli"

Aldo Bardelli (Azzate 1904 - Varese 1960)

Aldo Bardelli, frequentate le scuole tecniche a Varese, si avvia alla pittura sotto la guida di Giuseppe Talamoni, noto pittore varesino. Di tale periodo l’artista non ha lasciato alcuna notizia circa la propria attività, né alcuna opera che orienti sulla sua pittura. Unico dato certo è che Bardelli nel 1929 parte per Parigi, senza dubbio per rispondere al richiamo della Ville Lumière e verificare in loco la situazione artistica, ma forse anche spinto dalla sua avversione al fascismo (era socialista) e con l’idea di restare per sempre in Francia dove alcuni parenti lo avevano già preceduto. Sicuro è che vi rimase tre anni divisi tra Parigi, Les Sables-d’Olonne e la Normandia, trascorsi i quali nel 1933, gravemente e irrimediabilmente ammalato è costretto a rientrare in patria. Scarne le notizie trapelate dal periodo parigino. Visse appartato in solitudine, preferì alla frequentazione dei caffè artistici di Montmartre e di Montparnasse le visite ai musei e alle gallerie pubbliche e private. Dal soggiorno non riportò alcuna testimonianza dei suo lavoro. Nessuna notizia neppure dalla Normandia e da Les Sables-d’Oionne. In compenso, però, da questa località ha riportato alcune opere, due delle quali sono pervenute agli eredi e sono presenti in questa mostra. Costituiscono in assoluto la prima testimonianza dell’attività pittorica dell’artista e presentano una immagine inaspettata, sorprendente sia della sia maturità tecnica sia del preciso orientamento estetico assunto a Parigi. Nel frattempo la famiglia si era trasferita a Varese, in quanto il padre era passato alle dipendenze di altri proprietari terrieri, i Crevan e i Grassi, e una delle sorelle in città aveva avviato una attività di sartoria. Dopo lunghe cure, benché con i postumi destinati a riaggravarsi nel tempo, Bardelli riprende la propria attività ma la sua vita si svolge appartata e schiva nell’ambito famigliare, alimentata da un ristretto giro di amicizie e di frequentazioni intellettuali, tanto solide e fedeli quanto spesso avvolte da riserbo e timidezza. Alla pittura affianca l’attività di insegnante di disegno nelle scuole tecniche ma la mancanza di un titolo di abilitazione e, soprattutto, la nomea di antifascista, rendono l’incarico precario, così che l’artista, certo dopo averne parlato con un amico socialista, il dott. Antonio Ghiringhelli (che sarà nominato soprintendente della Scala, chiamato all’incarico da un altro varesino illustre, di Angera, l’avv. Antonio Greppi, primo sindaco socialista della Milano liberata), decide di prendere un diploma di scenografia in modo da avere un titolo di abilitazione all’insegnamento e, nello stesso tempo, un’altra possibilità di lavoro. Nell’anno scolare 1937-1938, entra all’Accademia di Brera e segue il primo corso di scenografia sotto la guida di Pietro Reina e alla sessione estiva è promosso con 9 in scenografia e 7 ½ in storia dell’arte, che lo esonera dal pagamento delle tasse scolastiche per l’anno successivo. Nel 1938-1939 segue il secondo corso e nella sessione estiva viene promosso al terzo con 9 in scenografia e 8 in storia dell’arte. Nella sessione autunnale sostiene gli esami per l’ammissione al quarto corso ed è promosso con 8 in scenografia e 8 in storia dell’arte. La votazione gli dà diritto all’esonero dalle tasse di frequenza anche per il corso successivo. Nel 1939-1940 segue il quarto corso e alla sessione estiva ottiene la licenza con i seguenti voti: scenografia 9, più un premio di Lire 250; storia dell’arte 8, più un premio (Mazzucchelli) di Lire 500. Il maturo studente, dunque, non mira solo a procurarsi un diploma ma palesa grande impegno e applicazione rivelando di essersi ripreso dallo sconforto causato dalla malattia che ha interrotto bruscamente un ciclo positivo della sua esistenza, di puntare molto sulla acquisita esperienza scenografica. Purtroppo la sua discrezione, il suo vivere appartato e solitario non gli hanno aperto la carriera di scenografo; il diploma gli e comunque servito a rendere più stabile quella dell’insegnamento (che gli fu revocato solo nel tardo 1943 dall‘avvento della Repubblica di Salò, in quanto sospettato di antifascismo) ma, soprattutto, a dare nuove sollecitazioni e sbocchi alla sua pittura.
Dopo il 25 aprile 1945, con la Liberazione, tronca definitivamente i pochi contatti con Milano e, fino ai primi anni cinquanta, partecipa, sia pure dalla posizione defilata che gli è congeniale, alla ripresa della vita culturale varesina, animata da figure come Piero Chiara, Luigi Ambrosoli, Guido Morselli, Dante Isella, Giuseppe Bortoluzzi, Renzo Modesti, l’avv. Aldo Lozito e il prof. Bulferetti, grande dantista. Sono anche gli anni in cui più intensi e frequenti sono i rapporti con l’ambiente degli artisti locali della sua generazione: da Tavernari a Montanari, da Salvini a De Bernardi, da Angelo Frattini a Ada Schalk, da Talamoni a Spaventa Filippi, da Costantini a Ferriani, da Vedani a Bozzolo, da Ravasi a Colombo. Le mostre promosse dal Circolo degli artisti di Varese, animato dall’avv. Lozito, dall’Azienda Autonoma di Soggiorno e dalla Galleria Prevosti e dalla breve attività della Galleria Varese, sede di sfollamento della bombardata Galleria Annunciata di Milano (ottobre 1943 fine 1946; in cui fra l’altro tenne una personale a fine marzo dei 1946), costituiscono pero le poche occasione che Bardelli, uomo riservato e schivo, poco incline a far proprie le logiche di promozione e di autopromozione del mercato dell’arte, ha di proporsi al pubblico, per altro attento e in crescita, di quegli anni. Sicché, nonostante gli apprezzamenti rivoltigli da alcuni artisti plurilaureati, tra cui Morlotti e Guttuso, i suoi principali acquirenti ed estimatori sono e restano i suoi migliori amici: gli avvocati Gallini e Campiotti, il dottor Aschieri, i critici Zanzi e Gallina, il maestro Pandolfi, i professori Fadda e Ramella, gli architetti Vanoni e Brusa Pasqué, le sorelle Martinenghi. Con gli anni cinquanta il progredire dei morbo di Parkinson rallentava via via l’attività pittorica di Bardelli, ne riduce la presenza nella vita culturale cittadina e contribuisce ad aumentarne l’isolamento. Con la fine dei 1959 si affacciano i primi sintomi dei tumore intestinale che lo conduce a morte nell’estate del 1960.


Έκδοση
Μοναδική
Εποχή
1900-2000
Πωλείται από
Ιδιοκτήτης ή μεταπωλητής
Αριθμός αντικειμένων
1
Καλλιτέχνης
Aldo Bardelli (1904-1960)
Τίτλος έργου τέχνης
La torre di Velate
Τεχνική
Ελαιογραφία
Υπογραφή
Υπογεγραμμένο χειρόγραφα
Χώρα
Ιταλία
Έτος
1942
Κατάσταση
Καλή κατάσταση
Height
30 cm
Width
39 cm
Depth
5 cm
Πωλήθηκε με κορνίζα
Ναι
Περίοδος
1940-1950

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